Sono nata a Milano quando Milano si credeva grande e bella. Noi, che nella città crescevamo, che ci nutrivamo di una certa convinzione collettiva, pensavamo che l’avremmo lasciata per ritornare: più ricchi, più liberi, più liberali dei nostri genitori.
C’era una specie di ingordigia di esperienze, mentre crescevo: fare le cose più difficili – e così sono andata a studiare a Cambridge – farne tante – e così ho vissuto in Finlandia, ho lavorato in azienda, ho imparato il marketing, il branding, la quota di mercato.
Poi qualcosa è cambiato – per la mia generazione, per me: come se il movimento si fosse fermato e anch’io potessi, infine, rimettere insieme i pezzi di quello che ero stata e di ciò che avevo fatto, e tutto mi portava a tornare a scrivere, e tutto mi portava a quella che sono ora.
Mi interessa osservare i luoghi in relazione al tempo, e come il tempo li cambia, i miei luoghi immutabili. Mi interessano le crisi, i cambiamenti, i passaggi da uno stato all’altro: dalla ricchezza alla povertà, dal disincanto alla speranza. Sono cresciuta viaggiando, non tanto per visitare i luoghi, ma per viverli: anche solo per un giorno, anche solo per un po’. Quella gioia di un’Europa senza barriere è finita con i nostri trent’anni: e adesso noi, tornati in Italia, creiamo una nuova Italia con quello che abbiamo visto, e le esperienze che abbiamo accumulato con la voracità nel passaggio fra millenni.